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Le origini del Carnevale si perdono nel tempo.
L'etimologia della parola Carnevale è tuttora molto discussa: potrebbe
derivare da Carna -aval o da carnevale (un invito a non mangiare carne), o
ancora, da Carnalia (feste romane in onore di Saturno), oppure da
carne-levamen o dall'espressione medievale carnem-laxare (cioè fare digiuno,
astinenza). Di sicuro le origini di questa festa sono religiose.
Apprendiamo, dalle
testimonianze
storiche, che le maschere erano utilizzate dall'uomo fin dal Paleolitico,
quando gli stregoni, durante riti magici e propiziatori, indossavano costumi
adornati di piume e sonagli e assumevano aspetti terrificanti grazie a
maschere dipinte, nell'intento di scacciare gli spiriti maligni. Ma è
soprattutto nel mondo romano, dove si svolgevano feste in onore degli dei,
che possiamo ritrovare le origini del nostro Carnevale. Nell'antica Roma i
festeggiamenti in onore di Bacco, detti Baccanali, si svolgevano lungo le
strade della città e prevedevano già l'uso di maschere, tra fiumi di vino e
manifestazioni danzanti. Famosa era, anche, la festa di Cerere e Proserpina,
che si svolgeva di notte, in cui giovani e vecchi, nobili e plebei si
univano nel ritmo dei festeggiamenti.
In
marzo e in dicembre era la volta dei Saturnali, le feste sacre a Saturno,
padre degli dei, che si svolgevano nell'arco di circa sette giorni durante i
quali gli schiavi diventavano padroni e viceversa, dove il "Re della Festa",
eletto dal popolo, organizzava i giochi nelle piazze, e dove negli
spettacoli i gladiatori intrattenevano il pubblico. Secondo Livio, queste
feste iniziarono all'epoca della costruzione del tempio di Saturno (263 a.C.).
Negli anni i Saturnali divennero sempre più importanti, all'origine infatti
duravano solo tre giorni, poi sette finché, in epoca imperiale, furono
portati a quindici. Ai Saturnali si unirono le Opalia, in onore della dea
Ope moglie di Saturno, e le Sigillaria, in onore di Giano e Strenia. Infine,
in ricordo della lupa che allattò Romolo e Remo, non possiamo non ricordare
i Lupercali che erano considerate feste della fecondità.
Una storia antica, legata ad un unico filo: il divertimento, la
spensieratezza, la goliardia, che resiste tenace durante secoli e secoli,
intrecciata saldamente alle tradizioni e al folklore dei diversi popoli. La
maschera copre il volto e ne cela le fattezze, sottolinea l’espressività ,
ne accentua i naturali caratteri o ne crea di nuovi. Le maschere sono state
sempre utilizzate: in tempi antichi, durante i feroci combattimenti, come
protezione ed al contempo per suscitare nell’avversario sentimenti di paura
e terrore.
Nel corso dei secoli, poi, la maschera arricchisce l’espressività degli
attori e successivamente diviene il segno della libertà e della
trasgressione a tutte le regole sociali.
L’
elemento tipico del carnevale è la maschera. Questa copre il volto e ne cela
le fattezze, sottolinea l’espressività , ne accentua i naturali caratteri o
ne crea di nuovi. Le maschere sono state sempre utilizzate: in tempi
antichi, durante i feroci combattimenti, come protezione ed al contempo per
suscitare nell’avversario sentimenti di paura e terrore.
Nel corso dei secoli, poi, la maschera arricchisce l’espressività degli
attori e successivamente diviene il segno della libertà e della
trasgressione a tutte le regole sociali.
Le
maschere simboleggiano le immagini caricaturali dei vizi e virtù umane (pulcinella:
maschera tipicamente napoletana vestita di bianco con mascherina nera che
diceva di essere stato covato da una chioccia come il pulcino a cui allude
il suo nome; arlecchino: personaggio da commedia che recita le parti
di un servo sbadato e sguaiato; il suo costume cucito con pezzi diversi e
multicolori è il simbolo del suo comportamento perché ne combina "di tutti i
colori"; balanzone: dottore bolognese saccente e chiacchierone,
burbero e brontolone che fa credere di essere un gran sapiente ma alla fine
è solo un truffatore; pantalone: vecchio mercante veneziano
borbottone e avaro molto attento al denaro, autoritario, stravagante ma
abbindolato dalla moglie e dalle figlie; brighella: giovane
bergamasco e servo attaccabrighe ma furbacchione; colombina: servetta
furba, allegra, spumeggiante, bugiarda; …) oppure simboleggiano le immagini
degli esseri inferi (le patoilles valdostane sono maschere dal volto
annerito dalla fuliggine e rappresentano le anime dei morti propiziatorie
della primavera e del sole; i mamuthones nuoresi che vestiti di pelli
cariche di campanacci e il viso coperto da una maschera tragica, con gran
frastuono di campanacci, fanno danze propiziatorie per un buon raccolto)
oppure ancora simboleggiano la battaglia tra il cibo grasso (Re Carnevale a
Bologna, Re Nasone a Napoli: un grasso personaggio dalla enorme pancia) e il
cibo magro (Donna Quaresima, una maschera alta, ossuta, vestita di scuro).
Il
Carnevale in Europa è stato per secoli una festa d’inizio dell’anno. I suoi
scherzi e i suoi riti rappresentavano la fine dell’anno vecchio e l’inizio
del nuovo.
Con l’avvento del
Cristianesimo, i festeggiamenti perdettero molte delle loro caratteristiche
orgiastiche e vennero spostati ad una data successiva, e cioè nel periodo
che corre dall’Epifania al mercoledì delle Ceneri (a Milano dal III° secolo
in poi, per decisione di S.Ambrogio, il Carnevale viene prolungato fino alla
vigilia della prima domenica di Quaresima).
Era una festa di
origine contadina: nella metà di febbraio moriva l’inverno e si avvicinava
la primavera e così con il carnevale un ciclo di stagioni finiva e un altro
ne incominciava. Un corteo di maschere faceva parte delle celebrazioni di
carnevale ed erano fantasmi o anime di morti che stranamente rassicuravano
la gente perché offrivano la protezione ai vivi e al raccolto.
Con il passare degli
anni si ebbe tuttavia una riviviscenza delle consuetudini pagane tanto è
vero che Innocenzo III stigmatizzò in una bolla papale, le eccessive licenze
carnevalesche e cercò di disciplinare feste e corsi mascherati, abolendo
alcune usanze ed istituendone di nuove.
Al
Medioevo risalgono le prime edizioni della sagra "degli asini" e di quella
"dei pazzi"; quest’ultima che ci è stata magistralmente descritta da Victor
Hugo in "Notre Dame de Paris", si svolgeva nella capitale francese ed altro
non era se non una grottesca farsa delle più austere cerimonie religiose.
Una delle
caratteristiche dei Carnevali dell’età di mezzo era poi quella della
processione dei poveri e degli storpi che giravano a lungo per le vie ed i
vicoli di ogni città, ricoperti di stracci multicolori e con il viso celato
da orride maschere.
Soprattutto in
Francia, dal 1200 in avanti le manifestazioni carnevalesche assunsero un
ritmo sfrenato e furono caratterizzate da ogni specie di eccessi: basti dire
che perfino un Re, Carlo VI, venne assassinato mentre danzava travestito da
orso.
I
tipici elementi del carnevale sono le maschere che simboleggiano le immagini
caricaturali dei vizi e virtù umane (pulcinella: maschera tipicamente
napoletana vestita di bianco con mascherina nera che diceva di essere stato
covato da una chioccia come il pulcino a cui allude il suo nome;
arlecchino: personaggio da commedia che recita le parti di un servo
sbadato e sguaiato; il suo costume cucito con pezzi diversi e multicolori è
il simbolo del suo comportamento perché ne combina "di tutti i colori";
balanzone: dottore bolognese saccente e chiacchierone, burbero e
brontolone che fa credere di essere un gran sapiente ma alla fine è solo un
truffatore; pantalone: vecchio mercante veneziano borbottone e avaro
molto attento al denaro, autoritario, stravagante ma abbindolato dalla
moglie e dalle figlie; brighella: giovane bergamasco e servo
attaccabrighe ma furbacchione; colombina: servetta furba, allegra,
spumeggiante, bugiarda; …) oppure simboleggiano le immagini degli esseri
inferi (le patoilles valdostane sono maschere dal volto annerito
dalla fuliggine e rappresentano le anime dei morti propiziatorie della
primavera e del sole; i mamuthones nuoresi che vestiti di pelli
cariche di campanacci e il viso coperto da una maschera tragica, con gran
frastuono di campanacci, fanno danze propiziatorie per un buon raccolto)
oppure ancora simboleggiano la battaglia tra il cibo grasso (Re Carnevale a
Bologna, Re Nasone a Napoli: un grasso personaggio dalla enorme pancia) e il
cibo magro (Donna Quaresima, una maschera alta, ossuta, vestita di scuro).
Il
Carnevale era il simbolo della necessità di abbandonarsi al gioco, allo
scherzo e all’ebbrezza della festa. Una grande illusione che coinvolgeva
nobili e poveri, e che attraverso la sue forme celava l’identità personale,
il sesso, la classe sociale. Il Carnevale era quindi una festa vissuta
intensamente da tutti che, mascherati con la tipica bauta e altri
fantasiosi travestimenti, partecipavano alle feste nei campi, lungo le
calli, nelle corti, in un gioco di musiche e colori che riempivano interi
giorni e notti.
La maschera esprimeva quindi diversi significati: la festa e la
trasgressione, il gioco e l’immoralità. Questa infatti, veniva spesso
utilizzata dagli uomini per introdursi armati in luoghi sacri, dai giocatori
di azzardo per proteggersi dalla vista dei creditori o per commettere altre
nefandezze.
Il Settecento fu il secolo in cui il Carnevale raggiunse il massimo
splendore divenendo un’attrazione per molti viaggiatori dell’epoca. Di
questo splendore si resero testimoni celebri pittori come il Tiepolo che
impressero sulle loro tele i fasti dei balli in maschera. Il tipico costume
settecentesco era composto dal tabarro un grande mantello, la
maschera bianca e la baùta un cappello dalla foggia particolare.
Solo due secoli più tardi il Carnevale viene vissuto, non più come un modo
di nascondere sotto la maschera i segni di un mondo fin troppo libertino, ma
come voglia di esibirsi nel meraviglioso palcoscenico qual è la vita.
Carnevale
è anche festa della gola; non c’è città che non festeggi con scorpacciate di
dolci tipici come le frappe (Roma), galani (Venezia), cenci (Genova), bugie
(Firenze), lattughe (Mantova), chiacchiere (Napoli) molti modi per indicare
uno stesso dolce fatto di zucchero, farina, uova tirato a strisce lunghe e
fritto in abbondante olio sfrigolante; le castagnole, palline dolci cosparse
di zucchero, i tortelli dolci o tortellacci, ravioli con ripieno di
marmellata di amarene, castagne, prugne e uvetta sultanina; le zeppole,
dolci morbidi e fritti che appartengono alla tradizione napoletana; i
coriandoli che oltre ad essere i dischetti di carta colorata che
giocosamente arricchiscono di sfumatura goliardica il carnevale sono anche
dei piccoli dolcetti zuccherini e colorati che hanno mutuato la forma dai
frutti sferici della pianta del coriandolo, una ombrellifora (coriandrum
sativum) originaria del Mediterraneo .
A
Roma tornera', la domenica di Carnevale, la Parata di maschere,
clown, maghi e giocolieri nel centro della citta', in via Nazionale:
una tradizione che si e' ripetuta per molti anni consecutivi, poi era stata
abbandonata ed e' ripresa lo scorso anno, quando e'stata accolta con
entusiasmo da grandi e piccini, che hanno dimostrato che era rimasta nel
cuore di molti romani. La parata tornera' anche quest'anno e il sindaco
Walter Veltroni ha detto che vorrebbe diventasse ormai un appuntamento
fisso, per tutti i bambini della citta'. Contemporaneamente alla festa nel
centro della citta' si svolgeranno poi iniziative anche in periferia: nei
vari municipi si sta lavorando al programma perche' molte piazze, in diverse
zone della citta', in particolare nelle borgate, divengano punti di festa e
di incontro. A piazza Vittorio, in particolare, la domenica di Carnevale ci
sara' Piccolo carnevale armonico, una festa musicale in maschera per
i bambini italiani e stranieri, curata dall'associazione l'Isola di Peter
Pan, voluta dalla consulta dei consiglieri aggiunti del Comune di Roma e
dal municipio I, per promuovere l'incontro tra diverseculture. |
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